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Non sarà per nulla facile ma voglio provarci, a scrivere due parole su mia madre, e lo voglio fare in m odo pubblico anche se non sono uso parlare di questioni private su piattaforme pubbliche. Lo voglio fare per dare uno scorcio della persona che è stata con me per tutta la vita, sempre presente in ogni momento. E forse leggendo quanto scrivo si capirà anche qualcosa in più su di me. “D’altronde è tramite le storie che si propaga la propria vita, credo.

Sarà un flusso di coscienza per cui ripetizioni, correzioni, sviste saranno sicuramente presenti, ma non sono sicuro di essere in grado di tornarci sopra.

Per conoscere mia madre, bisogna sapere che aveva il cuore più grande che si potesse immaginare. Quando l’hanno ricoverata a fine gennaio, anche se non stava in piedi perchè non aveva equilibrio o forza nelle gambe, si alzava per tenere la mano della compagna di stanza, per darle forza. Per lei, ogni persona bisognosa era come un figlio. La mia casa è stata un porto di mare sin da quando ho ricordi formati. Non c’era classe sociale, razza o qualsivoglia distinzione nella nostra casa, ed erano gli anni ’80, non il 2024. I miei non erano facoltosi. Mia madre veniva dalla vita rurale della bassa ferrarese ed aveva sposato un immigrato istriano del nord est. Vivemo in un palazzone in un quartiere povero. Mia madre rideva sempre e aveva la porta sempre aperta. Nel palazzo c’erano prostitute, cinesi, immigrati del sud italia venuti a lavorare alla FIAT, i primi africani, lo spauracchio dell’AIDS, eroinomani, persone ai domiciliari e noi un po’ li conoscevamo tutti. Mia madre organizzava feste in casa per carnevale e io e mio fratello avevamo sempre i costumi più fighi. Ricordo quello dei Basebal Furies dei Guerrieri della Notte perchè mio zio si era fatto prestare una casacca da baseball da un’amica americana che giocava ed era molto minuta. Mio zio era il terzo fratello della casa, viveva vicino a noi in un piccolo appartamento sotto il cavalcavia ed aveva un mobile usato che aveva dipinto color dalmata a chiazze nere, e aveva una macchina da scrivere dove a me piaceva andare a scrivere le mie storie di Paperino e Paperinik. Io ero appassionato di barbari e del macabro e mia madre mi comprava sacchi di giornalini usati dai quali tenevo da parte Kriminal e Satanik, e qualche erotico horror anni ’70 che ogni tanto per sbaglio ci finiva in mezzo. Al ritorno del mio primo giorno delle elementari, mia madre mi regalò Skeletor che era appena uscito, perché sapeva che i buoni non mi piacevano. Mi accompagnava a scuola con una Prinz con dentro un ragno a cui aveva dato un nome, e che stette sempre li con la sua ragnatelina, era casa sua.

La porta aperta in casa l’aveva anche nel quartiere dove eravamo andati a vivere dopo un paio di traslochi. Una volta aveva trovato un ragazzo ghanese che non parlava una parola d’italiano, che aveva una fame divorante e lo aveva fatto entrare in casa e le aveva cotto una fiorentina da un Kg. Per un lungo periodo ne ospitò un altro, anche questo non parlava una parola. Viveva per strada e lei le aveva dato una stanza (quella dove abitavo io da piccolo) e le chiavi di casa. Era invisibile, perchè arrivava la sera, si cuoceva riso in bianco e peperoncino e poi se ne andava a letto. Ha vissuto con i miei per mesi.

Mia madre nella sua vita ha aiutato tutti con tutto quello che poteva, quando c’eri lei, in una stanza c’era solo lei. Anche con le altre madri quando c’era la scuola, prendeva istintivamente la direzione e le mamme di mezza classe andavano e venivano per casa per chiederle consiglio. Diceva che alle persone va fatto del bene quando sono vive. Era come una bambina a cui è stato dato il compito di tenere dietro i figli, sin da quando era piccola in casa sua spostava i mobili e curava i suoi fratelli minori, se ne fuggì da Cento in seguito a un tremendo lutto famigliare che la segnò per tutta la vita.

Se dietro all’aspetto da pezzo di merda che mi piace dare qui sopra ho anche un briciolo di cuore è soltanto grazie a lei, non sapevo di averlo finchè ieril’altro si è spezzato.

Era anche una persona che personificava il caos, tutto cuore nessuna razionalità. Mangiava due buste di caramelle al miele al giorno. Quando c’erano ancora amici in giro per casa, e andava a comprare dalla rosticceria cinese a fine anni 90 perdeva talmente tanta roba che mangiavamo cinese in quattro per una settimana. Era il periodo in cui provò anche a smettere di fumare, aveva messo su venti chili a forza di mangiare Fruit Joy, esperimento finito miseramente, più volte. Si sbagliava sempre a chiamarmi: mi chiamava “Cristiano” e poi si correggeva… “Eerrr Michele”. Quando aveva fame, lei mangiava si faceva un panino e si buttava sul divano. Anche fosse mezz’ora prima di tutti gli altri lei non ce la faceva ad aspettare. “A io na diblezza” (ho una debolezza addosso) diceva.Una domenica mi alzai alle cinque del mattino per fare una affumicatura al barbecue e quando arrivai su dopo 7 ore di cottura trovai lei e mio padre che avevano mangiato la pasta scotta del giorno prima.

Non aveva il minimo senso di valore delle cose. Era capace di tagliare una camicetta da 300 euro per farci dei fazzoletti se servivano al momento. I soldi li teneva accartocciati come caramelle nelle tasche. Ogni tanto raccoglieva i fiori dal giardino e me li portava, cosa che ha fatto fino agli ultimi mesi sul tavolino dove teneva i ricordi di mio pare. Coi documenti anche importanti aveva un rapporto atroce. Lei li chiamava “carte” e li odiava. Li buttava dentro a un sacco dell’immondizia di quelli neri super robusti. Ricordo che mi incazzavo perchè li piegava sempre sghembi in due, come abitudine. Ogni tanto me li portava e mi diceva “sistemali”.

Quando si fissava con una canzone, dovevamo ascoltarcela tutti per mesi 18.000 volte al giorno. Ricordo che ai tempi dei CD-ROM mi chiedeva di fargli lo stesso pezzo il loop per tutti i 74 minuti. Era anche appassionata di lirica e musica classica. Quando uno entrava nella sua tappezzeria poteva sentire Schubert, Brahms, Chopin, Mozart ecc.

La sua gentilezza con gli animali era qualcosa di commovente. Ricordo quando andò sotto la pioggia a cercare la mia micia per settimane quando scomparì. Il giorno di San Martino io e lei andammo a prendere un povero pastore tedesco bastardone che dei figli di puttana in uno sfasciacarrozze tenevano al gelo senza una cuccia. Li ricoprì di insulti e lo portammo via senza chiedere permesso. Lo chiamammo Martin e stette con noi qualche mese. Era malato di filaria e anche se uccidemmo il parassita il suo cuore era compromesso. Quando non mangiava più mia madre andava al minimarket a prendergli dei polli arrosto tutti i giorni. Morì facendo le scale di casa.

Se tutto questo può far pensare ad una hippy di quartiere, in realtà lei era il contratio esatto. O meglio aveva tantissimo gusto nei suoi vestiti beige, grigi e animalies. Quando usciva si metteva un quintale di lacca e si tirava. Votava quasi sempre a destra. Ricordo quella volta che cazziò brutalmente un suo amico storico perché si presentò in canottiera a pranzo, quando eravamo in vacanza al mare. Poi in realtà quando era per conto suo metteva tre calzettoni di lana uno sopra l’altro, pantacalze elasticizzate e le magliette Death Metal che fregava dal mio cestone della biancheria, la ricordo nel parco con la maglia bianca degli Impetigo di Ultimo Mondo Cannibale assieme al suo cagnolino del cuore Pinny.

Chi l’ha vista nel suo ultimo periodo ad aggirarsi come un fantasma con un cappotto beige a pascolare un paio di cani non si rende conto della persona che era stata. Abbiamo lasciato che la malattia di mio padre portasse via pezzo per pezzo la nostra vita. Mio padre si ammalò di Parkinson alcuni anni fa e l’ultimo periodo del decorso della sua malattia fu terrificante. Avanti e indietro per ospedali, ci lasciò una mattina di due anni fa nella loro sala da pranzo. Mia madre era cambiata con la malattia di mio padre e pezzo per pezzo le nostre tradizioni svanirono. La domenica andavo a pranzo da lei ma ad un certo punto arrivavo e trovavo la tavola vuota, con un po’ di cibo freddo sui fornelli. Se non avessi insistito per fare l’ultimo Natale con mio padre, non avremmo neanche quel ricordo. Negli ultimi anni, mia madre non sapeva dove stare, voleva uscire da quella situazione di tristezza che la vita le aveva messo davanti, ma non voleva persone attorno, aveva allontanato amici e conoscenti e soffriva allo stesso tempo perchè nessuno la veniva a trovare. In casa stava malissimo ma allo stesso tempo trovava sempre una scusa per non uscire. Trovava il modo di litigare con chiunque, al funerale di mio padre interruppe la funzione del prete che stava parlando delle sofferenze di Gesù dicendogli “basta così”. Io sorridevo, di fianco e lei, perché ho rivisto per un attimo lo spirito della vecchia Magda. Io la andavo a trovare più spesso che potevo negli ultimi anni, segnati da continui problemi lavorativim per cercare di smuoverla e tirarla fuori dalla sua stanza ma non c’era modo. “Sto aprendo una bottega, mamma, appena apriamo ti passo a prendere la mattina e vieni con me, oppure mi fermo mentre torno. Aspetta solo Aprile”, le dicevo.

Queste sono due parole che scrivo il momento in cui sono completamente esausto ma allo stesso tempo sento una pacifica voglia di comunicare quello che è successo negli ultimi anni, anni di difficoltà che si sono accumulate strato su strato e tutti gli aspetti della vita della nostra famiglia partendo dalla salute, ovviamente, e giù a turbine in tutto il resto: lavoro, affetti, famiglia. Ci sono voluti nervi d’acciaio per rimanerefocalizzati, e il supporto di alcuni amici molto vicini. Mi piace pensare che se ho queste amicizie ancora oggi, è perché ho preso qualcosa di lei.

Chi mi legge qui e online vede sa che scrivo un casino di cretinate. Lo faccio perché cerco di prendere una vita a cui non riesco a dare un senso, per lo meno, in maniera ironica, perché ne vedo un insita insita beffardia e crudeltà nel nucleo stesso dell’esistenza, almeno per come la concepiamo a noi umani. Forse a mia madre, tutta quella solidarietà ed empatia, le hanno impedito di accettare mai la malattia di mio padre.

Mia madre era quella che riusciva a tranquillizzare sempre tutti. Talvolta buttandola in caciara ma sempre comprendendo quello che stava succedendo. Trovava sempre il modo di smorzare lutto e dolore. Le ultime sue settimane in ospedale mi guardava e mi diceva “sei stanchissimo” e io le dicevo che era tutto a posto, che la aspettavo fuori e che l’avrei portata nei musei, nelle biblioteche, a mangiare i croissant francesi.

Anche adesso, sento la sua sua voce che dice “ehhhh vabè, dovete metterlo in conto che prima o poi doveva succedere”. Quando fu ricoverata ed era ancora lucida, la prima cosa che disse è “te e tuo fratello dovete mettere in conto che a un certo punto i genitori a questa età se ne vanno”. Maa lei non lo diceva con leggerezza, non sminuova il tuo dolore, riusciva a trasmettere la pace che in questo momento, senza di lei non riesco a trovare.

Io stacco per un po’ ragazzi perchè il silenzio è assordante e non si riesce a sentire niente.

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